A fronte degli ostacoli che la pandemia di coronavirus sta portando all’avanzamento dei colloqui per il più grande accordo di libero scambio del mondo, che coinvolgerebbe 16 paesi dell’area Asia-Pacifico (RCEP), il Giappone potrebbe essere costretto a rinunciare a raggiungere l’accordo previsto per quest’anno.
Secondo gli osservatori, è probabile che il Giappone sia costretto a dare la massima priorità al sostegno dell’economia nazionale, colpita dal virus, il che renderebbe difficile per il Primo Ministro Shinzo Abe promuovere accordi di libero scambio, compreso il Partenariato economico globale regionale, che comprometterebbe i profitti di alcuni settori chiave in Giappone, come l’agricoltura, poiché l’eliminazione e la riduzione delle tariffe comporterebbe la concorrenza sul mercato nazionale di prodotti competitivi provenienti dagli altri paesi.
L’accordo in questione riguarderebbe un’area che rappresenta metà della popolazione mondiale. Proposto originariamente dall’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico nel 2012, il tavolo per il RCEP riunisce Australia, Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda e tutti i paesi dell’ASEAN.
Da quando è entrato in carica nel dicembre 2012, Abe si è sempre dichiarato favorevole agli accordi di libero scambio tra il Giappone e altri paesi, nel tentativo di stimolare le esportazioni, uno dei principali motori della crescita economica della nazione.
Nel corso dell’ultimo vertice in Tailandia lo scorso novembre, i leader del RCEP si sono impegnati a firmare un accordo quadro sulla creazione della zona di libero scambio entro il 2020.
Un sondaggio pubblicato all’inizio di questo mese ha mostrato che l’economia giapponese, la terza più grande al mondo, potrebbe avere una contrazione dell’11,08%.
Anche le relazioni economiche tra Giappone e Cina potrebbero ostacolare la realizzazione dell’accordo RCEP: l’interruzione della catena di approvvigionamento causata dall’epidemia di virus in Cina ha messo a dura prova i produttori, e il governo Abe ha preso misure per rafforzare il rientro della produzione in Giappone.
Ai primi di marzo, Abe ha affermato che “il Giappone non dovrebbe più dipendere dalla Cina per la produzione di beni ad alto valore aggiunto”, esortando le aziende a trasferire alcune delle loro fabbriche in Giappone.
Il grado di dipendenza del Giappone dalla Cina per la manifattura di base ha superato il 20 percento sia nelle esportazioni che nelle importazioni, il livello più elevato tra le economie avanzate, secondo un documento rilasciato dal governo. L’amministrazione Abe ha deciso di fornire sussidi alle imprese per indurle a riportare le loro produzioni in Giappone.
“La situazione è drasticamente cambiata in seguito della pandemia”, ha dichiarato Junichi Sugawara, esperto di politica commerciale del Mizuho Research Institute di Tokyo.
“Molti dei paesi RCEP sono diventati cauti nel fare troppo affidamento sulla Cina, dato che non sono stati in grado di importare componenti e prodotti importanti”, ha aggiunto Sugawara.
“Prevediamo che altri paesi cercheranno di riportare parte della produzione nei rispettivi paesi, e questo tipo di tendenza andrà necessariamente in contrasto con qualsiasi politica di apertura e quindi di trattato internazionale. Per questo crediamo che sarà molto difficile per i 16 paesi raggiungere l’accordo RCEP quest’anno”, conclude l’analista.
In seguito alla recente videoconferenza del 14 aprile, i leader dell’ASEAN hanno concordato di fare ogni sforzo per mantenere i loro legami commerciali.
(R.D.)