Per cercare di arginare un fenomeno che stava diventando una vera e propria piaga sociale, quello dei chikan (痴漢), alcuni comuni giapponesi hanno emesso delle ordinanze contro il disturbo della quiete pubblica (meiwaku boujyou rei) che prevedono multe più salate per chi si macchia di questo reato, videocamere nelle varie stazioni dei treni e campagne di sensibilizzazione.
Ancora, alcune compagnie telefoniche hanno deciso di adottare una misura, senza che ci sia una vera e propria legge a richiederlo, per cui non si possono scattare foto con il proprio telefonino in modalità silenziosa.
Per chi non sapesse di cosa si tratta, chikan è un termine giapponese utilizzato per indicare un molestatore, in particolare un individuo di sesso maschile che palpeggia le donne sui mezzi pubblici (ad esempio sui treni affollati dell’ora di punta). Alcuni di loro si spingono addirittura a fotografare o a fare video di parti intime della vittima, da sotto la gonna o da sopra la scollatura della maglia.
Secondo alcuni studi recenti pare che il 50%-70% delle giovani donne giapponesi abbia subito un attacco del genere almeno una volta, numeri preoccupanti se si pensa che in questo Paese milioni di persone fanno ricorso ogni giorno al trasporto pubblico per recarsi al lavoro, a scuola ecc. Dopo aver riservato sui treni delle apposite carrozze alle sole donne il passo successivo è stato quello di fare in modo che ogni volta che si fa una foto con il telefono cellulare questo emetta il tipico suono dello scatto di una macchina fotografica così da rendere palese a tutti quello che si sta facendo.
Non è possibile disattivare questa funzione in nessun modo, se non attraverso alcune app che rendono molto più bassa la risoluzione dell’immagine. Si spera così di scoraggiare i maniaci che desisterebbero dai loro intenti per paura di essere smascherati e di vedere rovinata la propria immagine pubblica, ancora oggi uno dei valori fondamentali per un giapponese. E a tal proposito non bisogna neanche sottovalutare il trauma di chi subisce ingiustamente l’accusa di essere un chikan, o per uno sbaglio di persona o perchè la vittima ha dichiarato il falso, tanto che alcuni arrivano addirittura a suicidarsi.
Chiara Bronzini