Con il diffondersi del coronavirus e l’andamento in ribasso dell’economia mondiale, le maggiori aziende giapponesi devono fare i conti con salari e sindacati.
Con la primavera in Giappone iniziera’ il nuovo anno lavorativo, e negli ultimi sei anni le maggiori compagnie avevano garantito un aumento del 2% medio per ogni anno, proprio per mettere fine alla deflazione che sta colpendo il Giappone da ormai vent’anni.
La casa automobilistica Toyota Motor Corp. ha reso pubblico che dara’ ai suoi dipendenti un aumento sui salari minore del 20% rispetto all’aumento dell’anno scorso. In piu’, lo stipendio minimo garantito non aumentera’, cosa che accade per la prima volta in sette anni.
I maggiori produttori di acciaio hanno seguito questa tendenza e non offriranno aumenti sul salario minimo. Queste decisioni pongono delle minacce all’obiettivo del premier Shinzo Abe di generare un ciclo di crescita “autosufficiente”, punto cardine della sua politica detta ‘Abenomics’.
Il responsabile delle risorse umane Toyota, Masanori Kuwata, afferma che “ogni impatto negativo influenza la nostra forza lavoro. A causa degli ultimi eventi, quest’anno abbiamo optato per rinunciare all’aumento degli stipendi minimi”, aggiungendo che i salari Toyota sono tra i piu’ alti del paese.
In Giappone ad oggi il 40% dei lavoratori lavora part-time o a contratto, il doppio rispetto al 1990, prima dello scoppio della bolla di speculazione economica giapponese.
(Jief/Dire)