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IMMIGRAZIONE IL GIAPPONE ALLENTA LE MAGLIE

Prosegue l’iter parlamentare della controversa proposta di legge, presentata lo scorso ottobre alla Dieta, che porterebbe ad un significativo aumento dei lavoratori stranieri nel paese facilitandone l’ingresso. La normativa introdurrebbe due nuove categorie di visti: uno limitato ad un massimo di 5 anni (e non allargato alle famiglie) per i lavoratori poco qualificati ed uno per coloro che possiedono un profilo e competenze più specializzate in grado di condurre alla residenza permanente.

Una vera e propria rivoluzione delle politiche migratorie attualmente in vigore che mira ad arginare, seppur solamente in parte, la crisi demografica del paese dovuta al progressivo invecchiamento e decremento della popolazione. Non solo, obiettivo della normativa è inoltre venire incontro agli allarmi e alle pressioni di un mondo imprenditoriale, quello giapponese, alle prese con forti carenze di personale e manodopera specializzata. I numeri prospettati dall’esecutivo sono allarmanti. Si stima infatti un fabbisogno non coperto di almeno 600 mila lavoratori per quest’anno, proiettato in aumento a oltre 1,4 milioni entro 5 anni.

Il Giappone è sotto alcuni aspetti simile al nostro paese, con una popolazione di età media tra le più alte al mondo e tassi di natalità molto bassi (è di 400 mila persone il saldo annuale tra decessi e nuovi nati).

D’altro canto, il tasso di disoccupazione è molto basso e pari al 2%. Situazione diversa in casa nostra dove nonostante i recenti miglioramenti, il tasso ancora elevato si attesta intorno al 10%. I campanelli d’allarme suonano nei palazzi delle autorità giapponesi ormai da diverso tempo e le circostanze che portano ad accettare il fatto che sia giunto il momento di fare qualcosa iniziando ad importare forza lavoro straniera ci sono tutte. Tuttavia, è con l’impronta culturale dei suoi cittadini che dovrà fare i conti il primo ministro Shinzo Abe per portare avanti il suo piano di crescita economica (“Abenomics”, sincrasi di Abe e economics) e di “rinascita” della potenza giapponese.

Japan First” per dirlo all’americana..

Non sono mancate le polemiche da parte dell’opposizione mentre il dibattito ha investito temi cruciali come l’identità nazionale di una società che si percepisce ancora come omogenea. Per diversi decenni il Giappone è difatti stato uno dei paesi del mondo industrializzato più inospitali per migranti e lavoratori stranieri. Chi viene da fuori viene etichettato come “Gaijin”, figura esterna al sistema Giappone che non può dunque appartenere in maniera definitiva e totale a quel luogo e a quella comunità.

Non è casuale dunque come nell’arcipelago la popolazione straniera sia di poco superiore all’1% (2,56 milioni di cui 1,3 milioni di lavoratori), un dato che riassume in maniera chiara quello che è il pensiero comune.

Nonostante lo stesso primo ministro Abe abbia espressamente sottolineato in più occasioni come la proposta di legge non sia legata all’immigrazione ma bensì una risposta alle esigenze del mondo produttivo locale, sono state diverse le manifestazioni di protesta, soprattutto a Tokyo.

Tuttavia, vi sono anche positivi segnali cambiamento, soprattutto nel pensiero delle nuove generazioni incuriosite dalla possibilità di conoscere e confrontarsi con ragazzi d’oltreoceano con cui poter praticare l’inglese. È sufficiente entrare nei “kombini” delle città più importanti per accorgersi di come quasi un commesso su tre non sia giapponese. Un piccolo spiraglio tra le maglie di una normativa sul lavoro molto restrittiva che tuttavia concede la possibilità agli studenti stranieri di lavorare per 28 ore settimanali.

La questione immigrazione rimarrà dunque al centro del dibattito giapponese ancora per diverso tempo.

Rimane tuttavia chiaro come l’approvazione della proposta di legge da parte delle due Camere verrebbe incontro a quella che è un’emergenza socio-economica nazionale ma poco influirebbe (almeno nel breve periodo) sull’introduzione e sull’accettazione dei lavoratori nel sistema giapponese e nel suo schema sociale rigido e secolare.

A cura di Edoardo Bresciani

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