L’ISOLA “FANTASMA” DI HASHIMA

Vedendo le foto di quest’isola mi dissi di averla già vista; eppure ero certa di non averla mai sentita nominare prima.

Solo dopo tempo ho scoperto essere così familiare perché è stata usata per ambientare diversi film famosi, tra cui l’ultimo uscito di James Bond “007−Skyfall”.

https://theworldismysterious.files.wordpress.com/
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Chiamata anche “nave da guerra” per la sua somiglianza con una corazzata vista dall’alto, l’isola di Hashima si trova nella prefettura di Nagasaki, ad un’ora di navigazione dalla costa.

Circondata da un muro di cemento, presenta i primi edifici in cemento armato costruiti in Giappone, necessari per dover affrontare i numerosi tifoni che si abbattono su quelle zone.

Questi edifici, che arrivavano anche a nove piani d’altezza, erano stati costruiti per ospitare le famiglie stabilitesi nell’isola per lavorare nella miniera di carbone che, a quei tempi, riforniva di energia quasi l’intera città di Nagasaki.

La stessa Hashima era diventata una città con scuole, ospedali, ristoranti, cinema e negozi, divenendo nel 1959 la città più densamente popolata del mondo, con circa 3450 abitanti per km². Tuttavia, gli spazi vitali erano davvero esigui: un semplice minatore non sposato aveva a disposizione solo una stanza dove riposare; a quelli con famiglia, invece, erano concesse due stanze, con bagno e cucina in comune.

Per altri ruoli all’interno della società, quali insegnanti e personale amministrativo, era accordato anche un piccolo bagno privato, mentre solo chi dirigeva la miniera poteva usufruire di una casa indipendente.

Come in qualsiasi altra miniera, i turni davvero massacranti richiedevano, molto spesso, l’impiego di prigionieri cinesi e coreani che, il più delle volte, perivano per stenti, malattie o per tentare la fuga a nuoto.
Nel 1983 furono raccontate le atroci condizioni di vita da un minatore coreano sopravvissuto, del quale riportiamo un breve estratto:

«Nonostante il lavoro massacrante, i nostri pasti consistevano per l’80% di fagioli e per il 20% da riso bollito con qualche sardina. Quasi ogni giorno soffrivo di diarrea, e la mia forza gradualmente se ne andò. Provavo a riposarmi, ma le guardie arrivavano e mi costringevano a dare di piccone. Non so quante volte ho pensato di buttarmi in mare e annegare.
Quaranta o cinquanta dei miei compagni coreani si sono suicidati o sono affogati tentando di raggiungere Takahama. Io non so nuotare. Ma sono stato fortunato. Dopo cinque mesi fui trasferito alla fabbrica della Mitsubishi di Saiwai-Machi, a Nagasaki, e fui in grado di lasciare l’isola.

Se fossi rimasto, non sarei vivo ora. Oggi le persone chiamano l’isola nave da guerra, ma per noi era l’isola prigione, senza possibilità di fuga».

 

Quando il carbone fu sostituito dal petrolio, l’isola venne abbandonata, apparendo a noi oggi triste, decadente eppure suggestiva. Per più di trent’anni è stato impedito l’accesso, pena il carcere e l’allontanamento immediato dalla città di Nagasaki, ed è solo nel 2009 che venne concessa la possibilità ai turisti di visitarla, in un percorso sicuro e ben lontano dagli edifici pericolanti, solamente per 160 giorni all’anno. Questa restrizione è dovuta alla pericolosità del mare nel raggiungere l’isola, quindi non stupisce che coloro che tentavano di fuggire a nuoto morissero nell’impresa, sorpresi dalle forti correnti.

Dai commenti delle persone che hanno deciso di recarvisi, si coglie un certo senso di limitazione fisica nel camminare solamente all’interno dell’apposito percorso transennato che, probabilmente, non permette di cogliere gli aspetti e le angolature più surreali di Hashima.

Tuttavia questa città resta il risultato di uno sfruttamento ossessivo della natura da parte dell’uomo, divenendo semplicemente il ricordo sbiadito di qualcosa che è stato.

 

Fonti: http://www.corriere.it/sette/13_giugno_27/2013-26-salom-isola-dannati_17f7183e-df40-11e2-b08d-5f4c42716abd.shtml

 

Bortolotti Eleonora