Nonostante il Giappone costituisca una delle società più industrializzate al mondo, conosciuto soprattutto per le sue grandi aziende tecnologiche e ai nostri occhi appaia come un paese all’avanguardia, che investe molto nella ricerca e sviluppo, il mondo delle startups (intese come aziende appena nate caratterizzate da un business model innovativo) si sta sviluppando, cosi come in Italia, solo negli ultimissimi anni.
La figura del così detto “startupper”, infatti, non è ancora così diffusa, ma stiamo assistendo ad un rapido cambio di rotta.
Tradizionalmente intraprendere la vita da imprenditore nell’immaginario comune non era la strada che molti genitori auspicavano per i propri figli, come ha affermato Toshiko Oka, amministratore delegato e fondatore di Abeam M&A Consulting Ltd.
Alla base di ciò esistono fattori culturali, sociali, legislativi e finanziari.
Dal punto di vista culturale, tradizionalmente i giapponesi tendono a mettere al primo posto le necessità del gruppo rispetto all’iniziativa personale, e ciò non concilia con lo spirito imprenditoriale, legato in qualche modo ad una cultura individualista.
Un importante ostacolo culturale e sociale che ha conseguenze anche in ambito legislativo da non sottovalutare è legato poi ad un’elevata avversione al rischio, caratteristica del popolo nipponico.
È tipico, infatti, da parte dei giapponesi essere radicalmente legati al rispetto delle regole, tradizioni e canoni stabiliti: comune è la precisione con cui viene curato ogni dettaglio di qualsiasi progetto, anche nella quotidianità, per evitare rischi ed eventi inaspettati.
Alla luce di ciò si può capire come in Giappone creare un business e incorrere nel fallimento significasse, storicamente, perdere anche un certo status dal punto di vista sociale.
La legislazione che si è costituita in materia fallimentare è la conseguenza di questo modo di pensare ed è facile, alla luce di ciò, immaginare la sua rigidità.
Come è avvenuto in Italia, infine, c’è stato un problema legato alla finanza imprenditoriale: la difficoltà per le aziende e ancor più per le startups ad alto rischio nel reperimento di capitali.
Tutto ciò fa si che in Giappone il numero degli imprenditori sia minore rispetto a quello degli altri paesi, situazione simile a quella italiana in termini quantitativi (4,2 % in Giappone; 3,4 % in Italia, Fukuoka Asian Urban Research Center)
In Italia spesso si decide di mettersi in proprio perché le possibilità di trovare lavoro in aziende stabili sono scarse; in Giappone, al contrario, l’elevato tasso di occupazione non spinge i giovani ad intraprendere businesses innovativi, preferendo la sicurezza che un’impresa presente sul mercato da tempo, può offrire.
Si può facilmente intuire come le potenzialità per nuovi businesses in Giappone siano enormi.
Il governo, in primis, prospettando grandi opportunità di crescita dal mondo delle startups, ha infatti predisposto, quest’anno, come obiettivi in agenda, di creare un network tra incubatori giapponesi e quelli del resto del mondo e in particolare con la Silicon Valley, e di favorire, inoltre, la creazione di un ecosistema che coinvolga imprese università e istituzioni.
(Silvia Z.)