Lo Shodo, letteralmente “via della scrittura”, è una vera e propria arte orientale difficilmente paragonabile a qualunque altra pratica occidentale.
In Italia esercizi per una scrittura “elegante” sono rari, se non inesistenti, ma sarebbe comunque riduttivo definire lo Shodo semplicemente come una “bella calligrafia”.
Di derivazione cinese, lo shodo non è un semplice modo di scrivere, ma è una vera e propria esperienza artistica. Shodo nella lingua giapponese si compone di due caratteri: quello di sho, scrittura, e quello di do, via.
Il carattere do nel tempo è stato utilizzato per descrivere un’attività artistica che permette con costanza e impegno di giungere ad un perfezionamento della tecnica e, contemporaneamente, ad una crescita interiore per l’individuo.
Il calligrafo, attraverso la scrittura, si inserisce in un processo di mutamento e di arricchimento del divenire.
Anche se molto brevemente, questo spiega come in numerose arti giapponesi dal XIX secolo si trovi il suffisso –do: judo, kendo, chado sono tutte pratiche artistiche intese come percorsi che offrono la possibilità di crescere sia esteriormente, nell’esatta esecuzione, sia interiormente, in un processo personale.
Storicamente lo shodo e tutti i materiali usati derivano dalla Cina e furono importati in Giappone probabilmente verso meta` del ‘700, durante il periodo Nara.
Evolutosi nel tempo, oggi se ne riconoscono tre diversi stili: il Kaisho, ovvero una scrittura regolare degli ideogrammi inseriti in quadrati ideali, quotidianamente usato in Giappone.
Possiamo dire che sia il metodo di scrittura più intuitivo e anche quello che incontra uno straniero che si avvicina allo studio della lingua.
Il Gyosho, un “semicorsivo”, che nasce da un’idea di semplificazione del Kaisho, per una scrittura più veloce e immediata.
E infine il Sosho (o Jincao nel linguaggio moderno), un “corsivo” che si basa su un ulteriore semplificazione e rapidità della scrittura, su un’esasperazione della libertà nel tracciato dei caratteri.
Uno stesso ideogramma scritto nei tre diversi stili vi potrà sembrare irriconoscibile, e complicare ancora di più la lettura soprattutto per uno studente occidentale.
Ma in cosa consiste l’attività dello shodo?
Ho avuto la fortuna di seguire in una scuola di Tokyo una breve lezione sull’argomento, e posso così condividere la mia, anche se limitata, esperienza.
Innanzitutto, essendo un’arte pratica, la base è l’esercizio: la maggior parte dei bambini giapponesi comincia a prendere lezioni di calligrafia dalle elementari, continuando anche fino al liceo, in doposcuola o organizzazioni private; le famiglie ancora oggi la ritengono una componente essenziale per l’educazione culturale dei propri figli.
Gli strumenti necessari se volete provare l’arte del calligrafo non sono molti: un pennello (ne esistono di numerose dimensioni e materiali), la cui impugnatura dev’essere a circa tre quarti, con un presa energica ma leggera allo stesso tempo.
Dimenticate la presa di matite e penne: il pennello per lo shodo va tenuto il più possibile in verticale, in modo da avere piena libertà di movimento del braccio.
L’inchiostro viene diluito con acqua, se solido, e posizionato in un “contenitore” di pietra, dove lo si mescola con il pennello e si può poi procedere alla scrittura.
In ultimo, la superficie sul quale si descrivono i caratteri è determinante.
Il supporto è uno degli elementi principali e la sua storia potrebbe essere affrontata singolarmente tanto è vasta. La carta (kami in giapponese) è scelta tenendo conto della combinazione che avrà con l’inchiostro, per le sue sfumature, per la sua qualità e consistenza.
La carta artigianale giapponese si chiama washi, e fu importata nel 610 da un monaco coreano. Conosciuta inizialmente solo dalle classi nobiliari, la sua produzione nel tempo passò attraverso numerose elaborazioni e si pensa che nel 700 ne esistessero addiritura 200 tipi!
Dal XII secolo vennero poi diversificati a seconda degli usi a cui erano destinati (pittura, artigianato, produzione di lanterne, calligrafia).
Tradizionalmente la washi è formata da fibre di diversi alberi, da canapa, o da riso.
Attualmente la carta artigianale in Giappone è molto costosa e per questo spesso se ne utilizza una realizzata con legno di importazione.
Osservando l’insegnate tracciare anche gli ideogrammi più semplici si può notare come ogni tratto si divida in tre “momenti”: ”l’ingresso” in cui il pennello con l’inchiostro entra in contatto con la carta; “lo svolgimento”, composto da uno o più movimenti; “l’uscita”, ovvero lo stacco del pennello.
Si ha l’impressione che ogni tratto abbia un preciso ordine compositivo e che venga indagato appieno dal calligrafo.
Nello shodo l’espressione artistica sta nel creare una connessione tra la rappresentazione dell’idea materiale che tutti leggono nel carattere e l’energia che vi viene impressa dal calligrafo che lo rappresenta.
Lo shodo è un arte in quanto espressione di sè, espressione del proprio sentire attraverso segni diversi che esprimono una forza a loro non connaturata, ma espressa dall’artista e chiamata “energia vitale” ( Qi o Ki).
Ciò che conta è la trasmissione di questa energia che dal soggetto passa all’oggetto, diventando una delle più raffinate e misteriose espressioni dell’arte antica e moderna.
Alice Ballarini