Il Paese del Sol Levante si pone, nell’immaginario comune, tra i leader del panorama internazionale. Senz’altro, a ragion veduta: il paese è, infatti, pioniere nell’innovazione, con una popolazione che vanta i più elevati livelli di benessere sociale e con il terzo prodotto interno lordo mondiale. Oggi come oggi, dunque, il Giappone non ha davvero nulla da temere?
È la borsa valori della capitale a lanciare i primi inequivocabili messaggi: il cambio dello Yen è rimasto in stasi nelle ultime settimane, tanto quanto i rendimenti dei titoli di stato. L’arresto dei rialzi ha innegabilmente bloccato gli stimoli all’economia nipponica, che si dimostra così – all’occhio attento – più fragile di quanto sembri.
La sua economia, invero, risulta afflitta da severi problemi strutturali quali l’elevato debito pubblico e la deflazione cronica. Problemi che l’attuale assetto politico di governo non è stato in grado di risolvere: a poco sono di fatto servite le iniezioni di liquidità e i massici acquisti di titoli di stato che, al contrario, hanno frenato l’ascesa di un paese dalle enormi potenzialità.
Anche il contesto esterno non e` dei migliori. Non solo i concorrenti su scala mondiale si fanno sempre più aggressivi e competitivi, ma le dinamiche politiche internazionali sono sempre più prossime all’innesco di shock globali dagli sviluppi incerti. L’accordo USA-Corea del Nord, primo fra tutti.
L’incontro (ormai prossimo) tra il dittatore nordcoreano Kim Jong-un e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si preannuncia – per le parti – come uno dei vertici più favorevoli della storia. Tuttavia, se è chiaro che da un lato la partita si giocherà sulla definizione della denuclearizzazione, è ancora invece dubbioso cosa siano disposti a offrire in cambio gli americani. Certo non sarà complicato definire i termini di un negoziato ma, contemplato ogni scenario, il Giappone sembra comunque uscirne parte lesa. Quale scotto dovrà presumibilmente pagare, quindi?
Le condizioni della Corea del Nord sono perentorie: chiede garanzia di sopravvivenza, pretende d’esser riconosciuta dagli Stati Uniti e reclama investimenti esteri volti alle zone franche che intende sviluppare. Investimenti che, d’altro canto, per la Casa Bianca profumano di utile visti i costi di manodopera sensibilmente inferiori rispetto ai vicini competitors asiatici, Giappone in primis. È così che, da questa nuova allenza che si prospetta tra i nemici per eccellenza degli ultimi anni, il Paese del Sol Levante teme di restare emarginato.
Ben chiare sono, infatti, le priorità di Stati Uniti – nonchè delle principali organizzazioni pacifiste sovranazionali – e reindirizzare gli impieghi esteri a scapito del Giappone, escludendolo dalla lista dei partner commerciali, pare per l’America un congruo prezzo da pagare.
All’atto pratico, cosa ha da perdere il Giappone? Per sommi capi, migliaia di milioni di euro, oltre alla precarizzazione della sua influenza economica e marittima sulla regione.
Si consideri solamente che, del totale complessivo di investimenti diretti esteri che hanno interessato la nazione nel 2016, il 36% ha avuto proprio origine statunitense (Japanese Statistical Bureau).
Cosa aspettarsi dunque? Che il Giappone continui a corteggiare gli Stati Uniti nel tentativo di rilanciare un’alleanza storica che ha sempre meno valenza dal fronte americano? Escluso ogni scenario di rottura totale o di autoemarginazione, solamente da un negoziato politico concluso con successo il Paese del Sol Levante potra` mantenere la propria stabilità e potrà realmente confermasi nazione leader tra le potenzie mondiali.
Daniel Faccini