La raccolta differenziata in Giappone ha molte categorie, a volte difficili da capire per chi proviene da un altro paese. Principalmente la spazzatura viene divisa in “combustibile” e “non combustibile” (tra cui la plastica). Un altro elemento insolito è sicuramente l’assenza totale di cassonetti o cestini nei luoghi pubblici o nelle strade. Nonostante la capillare efficienza del sistema di raccolta il Giappone, tuttavia, non riesce, almeno per adesso, a rinunciare o a limitare l’uso della plastica. Soprattutto per quello che riguarda il confezionamento degli alimenti, non è difficile notare come nei supermercati gli ortaggi, la frutta o i biscotti siano incartati singolarmente in vaschette o in pellicole di plastica.
Il governo, anche a fronte dei provvedimenti che man mano vengono presi dal resto del mondo, ha dichiarato di voler ridurre l’uso domestico di plastica del 25% entro il 2030.
Il problema principale legato alla plastica resta il suo smaltimento: fino al 2017 era la Cina a ricevere la gran parte degli scarti in plastica provenienti dal Giappone, ma dopo il rifiuto cinese dovuto ad un cambio di politica, lo smaltimento è stato preso in carico da Indonesia e Vietnam, accusati di essere incapaci di gestire il problema e di essere responsabili delle enormi quantità di plastica giapponese finita negli oceani.
Una delle misure adottate da luglio scorso per disincentivare l’uso della plastica è quella di far pagare ai consumatori le buste di plastica usate per gli acquisti. Il motivo principale della misura, più che di carattere ambientalista, sta nella necessità politica di mostrare il contributo giapponese alla salvaguardia dell’ambiente in occasione dei giochi olimpici di Tokyo 2020.
(JIEF/DIRE)