Nelle sue opere Enchi Fumiko ha sfidato l’ideale del corpo femminile rappresentato dalla società fallocentrica. A corpi sani, sensuali e fertili, ha spesso preferito corpi invecchiati, menomati, non tanto esternamente quanto internamente, corpi che avevano perso la loro funzione “principale”, quella riproduttiva. Demolendo il mito del corpo femminile perfetto, l’autrice accese un dibattito sulla corporalità mai affrontato prima in Giappone, e che fu alla base delle campagne femministe degli anni successivi. Dei tanti tipi di corpo femminile rappresentati da Enchi Fumiko, ho deciso di soffermarmi su due diametralmente opposti: il corpo femminile che invecchia e il corpo materno.
Quello del cambiamento e dell’invecchiamento è uno dei temi fondamentali del racconto Maga (Yō). La protagonista, Chigako, è una donna di mezz’età che, dopo un commento del marito riguardo al diradarsi dei suoi capelli, comincia ad essere ossessionata dal suo aspetto. Rendendosi improvvisamente conto di quanto fosse invecchiata, inizia a compiere tutti i giorni un rigido rituale di bellezza nel tentativo di fermare il tempo e tornare giovane << Seduta davanti a loro (i prodotti di bellezza), Chigako si dedicava assiduamente al compito di restaurare la sua giovinezza. Per quale motivo si truccasse, per quale motivo desiderasse tornare giovane lei stessa non lo sapeva. Sapeva solo, vagamente, che se non si fosse truccata come stava facendo in quel momento si sarebbe inutilmente rimproverata più tardi.>>1. I personaggi di mezz’età presentati da Enchi Fumiko sono solitamente donne sessualmente represse che scoprono la propria sensualità solo con l’arrivo della menopausa, con il finire cioè del loro periodo fertile, mostrando come per l’autrice l’Eros sia completamente scollegato dall’ambito riproduttivo. << Nella vita reale lei non aveva mai conosciuto il momento di felicità che una donna può trovare attraverso un uomo, tuttavia ora il suo intero corpo fremeva al pensiero che potesse essere raggiunto tramite un rapporto carnale.>>2.
Del tutto diversa è, invece, l’immagine che l’autrice dà del corpo di Harume, figlia di Mieko la protagonista di Maschere di donna. La giovane, pur essendo bellissima e possedendo un corpo perfetto, sensuale e fertile, soffre di un ritardo mentale che la rende non dissimile da una bambina di cinque anni. È dunque un guscio vuoto, estremizzazione dell’ideale maschilista di donna. I termini in cui viene descritto il suo corpo sono riconducibili, infatti, alla Nikutai bungaku, “Letteratura della carne”. Questa corrente letteraria sorta nel secondo dopoguerra vide nello sfruttamento e nella violenza contro il corpo femminile, la rivalsa dell’uomo giapponese contro l’evirazione simbolica causata dall’occupazione americana. Il corpo della donna si scollega dalla tradizionale visione di corpo materno e portatore di vita per divenire pura e semplice carnalità, strumento per la soddisfazione dei piaceri maschili. Il corpo di Harume tuttavia non è sfruttato per l’appagamento del desiderio sessuale maschile, bensì per la sua fertilità; diventa lo strumento finale della vendetta di Mieko che con l’inganno la fa rimanere incinta. Si assiste quindi a un inedito cambiamento di prospettiva: lo sfruttatore da uomo diventa donna (Mieko) e lo scopo di tale sfruttamento passa dal piacere alla procreazione, facendo riappropriare il corpo carnale di Harume del suo valore procreatore e materno. In questo modo Enchi Fumiko riesce a liberare anche l’aspetto più naturale e quindi scontato della natura femminile dalla logica maschilista, e il sacrificio di Harume attuato da Mieko (la giovane morirà durante il parto) libera ulteriormente la donna dal suo ruolo di madre. Il che porta a una domanda spinosa: l’infanticidio, la rinuncia della donna anche al suo ruolo di madre pur di seguire la propria volontà, è forse per Enchi Fumiko una delle dimostrazioni, la più estrema, della vera femminilità?
1 SEIDENSTICKER E. G., BESTER J., MORRIS I., Enchantress di Enchi Fumiko, pag. 83 (traduzione dall’inglese a mia cura)
2 SEIDENSTICKER E. G., BESTER J., MORRIS I., Enchantress di Enchi Fumiko, pag. 78 (traduzione dall’inglese a mia cura)