LA LETTERATURA GIAPPONESE IN ITALIA: quanto conta una buona traduzione?

Quando si parla di letteratura giapponese, o di autori giapponesi, i nomi che vengono subito in mente al lettore italiano medio sono Murakami Haruki, Banana Yoshimoto, forse Mishima Yukio. Sono proprio loro, infatti, gli autori nipponici più di successo in Italia, ma come mai?

Indubbiamente la fama di Murakami non è un caso prettamente italiano o  giapponese, bensì mondiale. È infatti l’autore giapponese più tradotto all’estero, ovvio dunque l’interessamento da parte della Einaudi per questo scrittore nominato anche al Nobel per la letteratura.

Caso più particolare è quello di Banana Yoshimoto, autrice di grande successo in Italia, ma poco conosciuta nel resto del mondo e persino in patria. Indubbiamente il suo successo tra i lettori italiani si deve anche al lavoro svolto negli anni dal suo traduttore italiano Giorgio Amitrano, nonché ad un’ottima e persistente campagna pubblicitaria.

La traduzione ha anch’essa, dunque, un ruolo fondamentale quando si ha a che fare con la letteratura straniera, dal momento che il successo stesso di un romanzo può dipendere dalla sua riuscita o mal riuscita traduzione.

Tradurre è sempre un po’ “tradire”, e questo è particolarmente vero quando si ha a che fare con una lingua così ricca di sfumature di significato ed emozioni come lo è il giapponese. Ecco perché è importante riconoscere il valore di una buona traduzione e, soprattutto, di una traduzione diretta giapponese-italiano rispetto a una traduzione indiretta, basata cioè su traduzioni in altre lingue occidentali. Ultimamente questa è una pratica che sta cadendo sempre più in disuso, grazie anche al numero sempre maggiore di traduttori disponibili, e tuttavia è ancora diffusa soprattutto per la pubblicazione di autori non ancora famosi in Italia. Tradurre direttamente dal giapponese, infatti, comporta dei costi molto più elevati e richiede molto più tempo.

Quali sono dunque i criteri con cui vengono selezionate le opere letterarie giapponesi per il mercato italiano? Come è logico, le case editrici si basano anzitutto sul successo dell’opera o dell’autore. Successo non tanto in Giappone, quanto più all’estero.

Raramente, infatti, i romanzi pubblicati in Italia sono totalmente inediti in Occidente: unicum fu, forse, nel 1991 la pubblicazione di Kitchen di Banana Yoshimoto.

Questo criterio vale per i romanzi più recenti, mentre per le opere più datate si guarda alla loro “classicità”. Vengono, cioè, selezionate quelle opere che, per un motivo o per un altro, hanno segnato un’epoca, un traguardo, un cambiamento.

Case editrici come Feltrinelli, Einaudi, Mondadori si sono dunque specializzate nel corso degli anni nella traduzione e pubblicazione di opere recenti, molto famose o costose. Ad esempio Einaudi non solo è la casa editrice italiana di Murakami Haruki, ma ha anche pubblicato il capolavoro assoluto della letteratura giapponese: il Genji Monogatari, la cui seconda edizione è il frutto del lungo e costoso lavoro di traduzione dal giapponese antico ad opera di Maria Teresa Orsi.

Case editrici più piccole si sono, invece, specializzate nella traduzione e distribuzione di opere più di nicchia, come la collana Mille Gru della Marsilio Editori, che propone una meravigliosa raccolta di classici della letteratura giapponese in traduzione diretta ed accompagnati da introduzioni dettagliate ed esaustive.

Sorge dunque spontanea la domanda se, nei prossimi anni, si avrà un aumento delle opere giapponesi pubblicate in Italia. Quello del Giappone è un trend che si sta espandendo sempre più in tutti gli ambiti della vita quotidiana, accademica, economica.

Rispetto anche solo a una decina di anni fa sono triplicati i libri giapponesi disponibili nelle librerie italiane e il loro successo tra il pubblico è in ascesa continua e questo, dunque, sembra decisamente essere un fenomeno non destinato a interrompersi presto.

Federica Pedersini