Il metodo “Humanitude”applicato anche in Giappone

Le persone affette da demenza perdono gradualmente una serie di capacità legate, ad esempio, al linguaggio o alla memoria.
Perdere coscienza di sè o di ciò che lo circonda è senza dubbio una condizione spiazzante per il malato e per chi è impegnato ad assisterlo (sia esso parente o meno).
Questa condizione di disagio è stata presa ad esame, già diversi anni fa, in Francia, da Yves Gineste e Rosette Marescotti (due insegnanti di educazione fisica), con il conseguente sviluppo di una metodologia di cura che ha preso il nome di “Humanitude” e che è stata adottata con successo in diversi paesi (inizialmente Svizzera, Canada, Belgio, Lussemburgo, e successivamente anche in Germania, Portogallo e nel 2015 in USA e in Italia).

Negli ultimi anni questa metodologia sta diventando popolare anche in diverse case di cura in Giappone, con evidenti miglioramenti.
L’umanità è alla base di questa metodologia: vengono poste in primo piano le relazioni tra assistito e assistente e il rispetto per la dignità del malato.
Gli sguardi, il tocco, la parola e la verticalizzazione sono i principali fattori su cui si basa il metodo “Humanitude” .
L’interazione, il modo in cui ci si approccia ai malati, deve essere rispettoso e consapevole della malattia.
La tendenza, per chi si prende cura di persone con questo tipo di malattia, è quella, a lungo andare, di porsi nei confronti del malato in maniera severa e autoritaria, spesso l’unica risolutiva.
Prendersi cura dell’igiene personale, ad esempio non è più così scontato, come anche vestirsi o compiere altre azioni fino ad allora ritenute fondamentali per la propria persona.
Ed è allora che è necessario l’intervento e il sostegno esterno, affinchè la dignità sia assicurata nonostante la malattia.
L’aggressività o l’agitazione tipiche della demenza non sono certo di aiuto per chi è incaricato di fornire assistenza, rendendo questo compito pesante e difficoltoso.
Il più delle volte, il paziente vive come una forzatura le azioni svolte dell’assistente.
Entrambi, quindi, non riescono ad affrontare serenamente neanche i più piccoli aspetti legati alla quotidianità.
Il rapporto tra i due è inevitabilmente ostacolato dagli effetti della malattia, che si ripercuotono negativamente su entrambi.

A trarre vantaggio dal metodo “Humanitude” non sono solo i malati ma anche gli stessi infermieri, più liberi di compiere il loro dovere in tranquillità.
Il team del dottor Miwako Honda del Medical Center di Tokyo, impegnato in una campagna di diffusione di questa metodologia di approccio in tutto il paese, ha recentemente condotto un sondaggio a Fukuoka per verificarne gli effetti.
Dopo un corso di formazione rivolto a 147 persone che si prendevano cura di malati di demenza sono emersi miglioramenti sostanziali sia negli assistenti (meno stressati) che negli assistiti (risultati ad esempio meno violenti).
Tra i diversi accorgimenti suggeriti durante il corso, quello di bussare alla porta prima di entrare nella stanza del malato o di evitare di sorprenderlo arrivandogli alle spalle.
Le testimonianze di alcuni partecipanti al sondaggio provano che approcci più dolci nei confronti dei malati hanno agevolato i rapporti, rendendone più semplice la gestione: una donna, ad esempio, si lasciava curare dal marito senza opporre più troppa resistenza, un’altra invece aveva adottato un comportamento più calmo, diminuendo le preoccupazioni di chi era costretto a lasciarla sola durante il lavoro.
Anche all’interno delle case di cura si sono evidenziati degli effetti collaterali positivi come ad esempi maggiori partecipazioni alle attività ricreative.
L’emergere di tali problematiche, e le relative metotodologie per affrontarle, e` un tema centrale per le societa` avanzate (Giappone e Italia in testa) e che riguarderanno da vicino fette sempre maggiori di popolazione di quì ai prossimi decenni.

R.D.