Il Giappone non rinuncia alla pena di morte

La pena di morte, prevista dall’ordinamento giapponese, trova da sempre in Amnesty International (organizzazione non governativa che lotta per la difesa dei diritti umani) un acerrimo oppositore.

Secondo i dati pubblicati e raccolti dalla ONG in un rapporto globale, risulterebbe che in Giappone nel 2016 siano state eseguite 3 condanne a morte (2 uomini, Yasutoshi Kamata di anni 75 e Kenichi Tajiri di anni 45, ed una donna, Yunko Yoshida, di anni 56), dato rimasto invariato rispetto all’anno 2015, quando 3 prigionieri sono stati giustiziati con la pratica dell’ impiccagione.

Il numero delle persone nel braccio della morte alla fine del 2016 è, però, molto più alto: ben 141 persone.

L’organizzazione non è la sola ad opporsi a tale pratica: la Federazione Giapponese degli Ordini degli Avvocati, lo scorso ottobre, si è formalmente dichiarata contraria alla pena di morte, chiedendo al governo di sostituirla entro il 2020 con la pena dell’ergastolo.

Nonostante le varie mobilitazioni pubbliche contro la pena di morte, il Giappone sembra restio all’abolizione: le esecuzioni continuano e, da quando è alla guida del governo il Primo Ministro Shinzo Abe, il numero delle esecuzioni è stato di ben 17.

R.D.