Cina e Giappone: tra rapporti commerciali e tensioni politiche

La foto che immortala la gelida stretta di mano scambiata il 10 Novembre 2014 tra Shinzo Abe e Xi Jinping al summit APEC a Pechino, potrebbe essere considerata un simbolo dello stato attuale dei rapporti bilaterali tra i due paesi: un rapporto segnato da contatti controvoglia, forse addirittura forzati, ma necessari.

In fin dei conti il Giappone e la Repubblica Popolare Cinese sono rispettivamente la seconda e la prima economia dell’Asia, i cui scambi nel 2015 hanno avuto un valore di 303,3 miliardi di dollari.

I rapporti tra i due stati non sono sul piano commerciale, bensì su quello politico.

Negli ultimi anni, in particolare dall’ascesa sulla scena politica di Abe e Xi a fine 2012, si è assistito a un continuo inasprimento dei toni e delle scelte politiche.

Come registrato dal sondaggio annuale pubblicato dal Think-Tank giapponese Genron NPO, il 91,6% dei giapponesi e il 76,7% dei cinesi ha un’opinione negativa degli altri.

Nello stesso sondaggio è possibile leggere le ragioni con cui gli intervistati hanno accompagnato le proprie risposte, ed è quindi possibile comprendere come esistano principalmente tre tematiche in cui suddividere i motivi forniti: la disputa territoriale riguardante l’arcipelago di isole chiamato Senkaku in Giapponese e Diaoyu in Mandarino, l’incapacità di venire a patti con gli eventi della seconda guerra mondiale e un nuovo scontro geopolitico, frutto dei mutamenti avvenuti sullo scacchiere internazionale negli ultimi decenni.

Non è possibile affrontare questi tre temi in maniera completamente separata, in quanto spesso i processi che hanno determinato l’esistenza di questi problemi tendono a sovrapporsi e sfumare gli uni negli altri.

Da un punto di vista storico, definire il rapporto tra i due stati risulterebbe complicato, data la profondità e la durata storica del legame che ha unito l’arcipelago e la Cina per quasi due millenni.

Da un lato si possono apprezzare esempi di rapporti pacifici e culturalmente prolifici: la cultura giapponese nei secoli ha attinto a piene mani dal Regno di Mezzo, per quanto riguarda la struttura statale, la religione o la cultura; il maggior esempio di questo rapporto rimane osservabile tutt’oggi nella lingua giapponese, la cui forma scritta è basata sui caratteri cinesi.

Dall’altro lato, i contatti tra questi due stati hanno anche prodotto gravi scontri e addirittura cruenti conflitti militari.

Nel XX secolo, i due paesi sono per ben due volte scesi in guerra l’uno con l’altro, la prima volta in quella che poi verrà ricordata come la prima guerra sino-giapponese (1894-1895), conclusa con la firma da parte della Cina di un trattato ineguale con il Giappone, il primo trattato di questo tipo tra due stati non occidentali.

Il secondo conflitto fu anche il più violento.

Durante la seconda guerra Sino-Giapponese (1937-1945), che si sovrappose in parte alla Seconda Guerra Mondiale, le truppe giapponesi invasero il continente e buona parte degli stati insulari del Pacifico, macchiandosi al contempo di terribili crimini di guerra.

Al giorno d’oggi questi eventi sono probabilmente uno dei maggiori elementi di frizione tra il Giappone e buona parte degli stati dell’Asia Orientale.

Questo è riscontrabile nel sondaggio, dove la maggior parte dei cinesi imputa al Giappone la mancanza di scuse “sentite” o in alcuni casi ne critica la classe politica, responsabile di minimizzare l’accaduto.

I giapponesi d’altra parte ritengono di aver già presentato scuse soddisfacenti, non ritenendo che le nuove generazioni debbano continuare a pagare per gli errori di chi è venuto prima.

Per quanto riguarda l’attualità più stringente, da un lato la Cina lamenta da parte del Giappone un tentativo di contenimento volto a limitare l’espansione della propria influenza nella regione, il tutto in un’ottica fortemente filo-americana.

Il Giappone, al contrario, accusa la Repubblica Popolare di aver assunto atteggiamenti e politiche orientate verso cambiamenti unilaterali dello status-quo nella regione, senza alcun rispetto per il diritto internazionale.

Queste due posizioni non sono frutto di politiche a breve termine, sono espressione di un qualcosa di più profondo: il Giappone, come tutto l’occidente, sta sperimentando un declino relativo all’interno dello scacchiere internazionale, dove nuove realtà, come appunto la Cina si stanno rafforzando sempre di più.

Si potrebbe vedere questo tentativo della Cina di forzare i limiti del sistema di rapporti internazionali creati nella seconda metà del XX secolo come un evento quasi fisiologico nella crescita di una nuova potenza regionale.

In questo schema di cambiamento, il Giappone, sentendosi minacciato dal cambiamento, tenta di contenere l’ascesa cinese.

Questo processo viene supportato dagli Stati Uniti, di cui il Giappone è diventato il più importante alleato in Asia nel periodo postbellico.

L’interessamento di questi ultimi segue logiche analoghe: i nordamericani vedono nella Repubblica Popolare un problema strategico a breve-medio termine dopo l’ascesa a potenza regionale, ma anche a lungo termine, in quanto la Cina è l’unico paese che, almeno in potenza, potrebbe diventare la nuova potenza egemone globale.

Se si dovesse scegliere un elemento di recente attrito tra Cina e Giappone in grado di sintetizzare al meglio ogni aspetto della questione Sino-Giapponese, la scelta non potrebbe non ricadere sulla disputa territoriale riguardante l’arcipelago di isole note come Senkaku in giapponese e Diaoyu in mandarino, che sono appunto citate dagli intervistati come il maggior ostacolo alla creazione di solidi rapporti bilaterali.

Le isole sono amministrate dal Giappone sin dalla loro restituzione da parte degli USA nel 1972; Pechino rivendica l’appartenenza delle isole alla Repubblica Popolare Cinese.

Il Giappone sostiene che all’epoca della loro annessione all’impero del sol levante le isole fossero terra nullis, ossia terre non appartenenti a nessuno stato.

La Cina, d’altro canto, sostiene che le isole entrarono a far parte dei domini giapponesi come conseguenza del trattato di Shimonoseki del 1895, e che quindi, in seguito alla sconfitta del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale dovessero essere restituite alla Cina.

Lo scontro diplomatico e politico intorno alle isole ha avuto varie fasi, se prima del 1989, con il mondo cristallizzato in uno schema bipolare, nessuno dei contendenti aveva interesse a sprecare energie e risorse in una disputa allora considerata minore, con il collasso dell’Unione Sovietica si è assistito a una continua escalation di atteggiamenti provocatori e azioni eclatanti, volti a ottenere il controllo dell’arcipelago, dove nel frattempo è stata appurata l’esistenza di giacimenti di combustibili fossili.

Il periodo di maggior tensione è sicuramente compreso tra il 2010 e il 2013.

Nel 2010 in seguito all’arresto dell’equipaggio di un peschereccio cinese scoperto in prossimità delle isole, Pechino ne ottenne la liberazione dopo forti proteste e ritorsioni commerciali.

Nel settembre del 2012 il governo giapponese acquistò tre delle isole dell’arcipelago in modo da prevenirne l’acquisto da parte di un terzo soggetto privato, Shintaro Ishihara, all’epoca governatore di Tokyo e noto per le proprie idee politiche vicine alla destra radicale.

Le motivazioni ovviamente contarono poco per l’opinione pubblica e la classe politica Cinese, tanto che lo stesso Hu Jintao definì illegale l’azione di Tokyo.

Tuttavia, l’azione che ebbe l’impatto maggiore fu la decisione del governo di Pechino nel novembre 2013 di istituire una Zona di Identificazione per la Difesa Aerea in un’area che comprende anche l’arcipelago.

Questa decisione presa in maniera unilaterale ha incontrato pesanti critiche non solo da parte del Giappone ma anche altri stati come Corea del Sud e Australia.

Vanno anche citate alcune lodevoli iniziative come il tentativo di stabilire uno sfruttamento congiunto dell’area nel 2008, che tuttavia è risultato piuttosto sterile.

In generale, la direzione intrapresa sembra quella di uno scontro diplomatico dettato principalmente dall’incapacità o forse dalla non volontà di comunicare e trattare sull’argomento: Tokyo si rifiuta di riconoscere l’esistenza di una disputa territoriale e Pechino tenta azioni sempre più provocatorie per forzare la situazione.

Questo è vero per la questione dell’arcipelago delle Senkaku/Diaoyu ma può essere applicata ai rapporti bilaterali tra i due stati in generale: al giorno d’oggi il sentimento che sembra prevalere è una sorta di accordo sull’essere in disaccordo.

La Cina sta, come detto in precedenza, attuando una strategia di espansione dove il controllo delle immediate vicinanze marittime è soltanto uno dei vari obbiettivi, e il Giappone, e gli Stati Uniti, sembrano accettare il ruolo di partner per necessità sul piano commerciale ma avversari strategici nel pieno di un’azione di contenimento sul piano geopolitico.

Sarà sicuramente interessante vedere come nei prossimi anni le amministrazioni dei tre paesi si comporteranno.

Per ora il Giappone sembra, grazie a un’inedita stabilità politica, continuare nel solco Shinzo Abe, il cui partito ha recentemente modificato il proprio regolamento interno in modo da consentirne la permanenza come presidente, e quindi consentirgli una nuova candidature alla premiership.

La Repubblica Popolare, su cui è sempre difficile avanzare ipotesi data la quasi totale impermeabilità con l’esterno dell’apparato politico, si troverà a un importante punto di svolta nel 2017, con il XIX Congresso del Partito Comunista Cinese, dove molte delle scelte che influenzeranno i futuri cinque anni saranno rese note.

Esiste la possibilità che questo congresso verrà utilizzato da Xi Jinping per poter consolidare ulteriormente il proprio potere personale, secondo molti giunto a livelli sperimentati solo da Deng Xiaoping o Mao Zedong.

Una cosa è certa, negli anni a venire il ruolo dell’Asia Orientale all’interno delle dinamiche politiche mondiali sarà di estrema importanza, e in queste dinamiche Cina e Giappone saranno in prima linea per delineare il futuro della regione.

Focusgiappone.net – Analisi a cura di Francesco Ghetti