BREVE FOCUS STORIA ECONOMICA: IL BOOM ECONOMICO GIAPPONESE DEL DOPOGUERRA

Quello che la seconda guerra mondiale si lasciò alle spalle fu un paese distrutto materialmente e moralmente.
Il rilascio dei due ordigni nucleari che rasero al suolo le città di Hiroshima e Nagasaki e che comportarono la resa, mise il Giappone in ginocchio, in una caduta davvero dolorosa e tragica.
Il 15 agosto del 1945 l’Imperatore Hirohito firmò la resa incondizionata, ponendo così fine alla guerra, ma il paese perse più di un terzo della sua ricchezza nazionale e fu occupato militarmente dagli Stati Uniti d’America.
Con l’occupazione americana, affidata al generale Douglas MacArthur, furono dettati alcuni obblighi sia di carattere politico che civile a cui il governo nipponico e l’Imperatore stesso dovettero adeguarsi, tra cui la rinuncia a qualsiasi forza militare terrestre, aerea o navale.
Delegando quindi agli USA la sicurezza nazionale del Paese, venne impiegato solo l’1% del prodotto nazionale lordo in spese destinate agli armamenti, dando così più respiro e libertà alla crescita economica. Quest’ultima poté essere implementata anche grazie a degli apporti che le forze statunitensi introdussero nel Paese, tra cui una riforma agraria che permise di ridurre la manodopera utilizzata nell’agricoltura per impiegarla in altri settori, ed alcuni esperti di business management per sostenere la ricostruzione dell’industria giapponese.
Negli anni Cinquanta i prodotti del Sol Levante erano considerati dal mercato scadenti e pacchiane imitazioni dei prodotti americani e venne dunque proposto al governo giapponese di introdurre il controllo sulla qualità nell’industria manifatturiera.

Un anno dopo la firma del Trattato di San Francisco, l’occupazione americana ebbe termine, permettendo al Giappone di espandere la propria economia.
Espansione che fu resa più celere in seguito alla guerra di Corea: grazie alla loro vicinanza, infatti, i nipponici divennero i maggiori fornitori di beni e servizi dell’esercito statunitense e ciò consentì di mantenere un tasso di sviluppo intorno al 10% per quasi due decenni.
Oltre a ciò, gli Stati Uniti aprirono i propri mercati alle esportazioni giapponesi, i cui articoli entrarono subito in concorrenza con quelli americani , anche in seguito alla certificazione della qualità dei prodotti nipponici che gli stessi americani avevano consigliato.
Una ulteriore componente di favore fu il costo piuttosto contenuto del petrolio di cui il Giappone si riforniva, essendone privo, andando a sostituire il carbone che veniva ancora estratto dalle miniere.
Tali importazioni petrolifere provenivano dal Golfo Persico e, per abbattere i costi di trasporto, si giunse a costruire numerose fabbriche in prossimità di porti e città locali.
Un notevole impatto si ebbe riguardo al livello di qualità e specializzazione dell’attività svolta da parte dei lavoratori che si identificavano sempre più spesso con l’azienda presso cui esercitavano la propria professione, trascorrendoci all’interno più di metà giornata e trascurando, in questo modo, la vita coniugale e familiare.
Importante settore nel quale il “Made in Japan” divenne sinonimo di qualità fu quello elettronico, dove tra le prime nove imprese a livello mondiale, sette erano giapponesi.

Nel 1973, tuttavia, ci fu una brusca riduzione del tasso di sviluppo dovuto ad una crisi energetica che causò un inatteso rialzo dei prezzi del petrolio e, di conseguenza, una sorta di razionalizzazione dell’intero sistema produttivo.
La crisi petrolifera del ‘73, infatti, comportò la quadruplicazione del prezzo del petrolio e alcune limitazioni alle esportazioni internazionali operate dai paesi arabi; l’evento scatenante che portò a questo fu la guerra del Kippur, da dove ne uscì vittorioso Israele grazie all’appoggio degli Stati Uniti e delle altre nazioni alleate.
Tutto questo comportò un aumento dell’inflazione e un’insufficienza dei beni di consumo, anche se il Giappone rimane uno dei paesi che meglio ha risposto a tali crisi pur non godendo di un’autosufficienza energetica.

Eleonora B.